“In prima persona, con i miei occhi, non ho mai visto nessuno entrare dentro quella struttura. Ma le voci di paese corrono e dicono che ogni bambino, quando vede quella struttura così, deserta e abbandonata, ci va, incuriosito, a giocare… Non abbiamo mai ricevuto alcuna segnalazione ufficiale. Erano, appunto, voci”. E’ questo che l’appuntato Savino Tomasiello ha riferito ieri mattina, nell’aula penale del tribunale di Ivrea, in merito a quel cantiere di via Giovanni Pascoli
dove, il 10 ottobre 2013, perse la vita a soli 13 anni Davide Giovannini, cadendo dal secondo piano. Per qualche istante prevalse la speranza: il cuore di Davide batteva ancora, riusciva a muoversi, tanto che gli amichetti riuscirono a portarlo fuori da lì. Ma fu una speranza brevissima. Sull’asfalto l’ultimo respiro del ragazzino. Sul posto intervennero i soccorsi del 118, i carabinieri, le famiglie. Per quell’incidente oggi sono imputati per omicidio colposo Diego e Roberto Giorgini, classe 1929 e 1963, padre e figlio, rispettivamente presidente ed amministratore delegato della Cei Costruzioni spa, la ditta titolare della costruzione vuota.
Nell’udienza di ieri l’appuntato Tomasiello, che ha presto servizio presso la stazione di Verolengo dal 2006 al gennaio 2016 (oggi è in servizio a Monanaro) ha riferito dei sopralluoghi condotti nei giorni successivi. “Il giorno seguente – ha raccontato – io personalmente sono andato a mettere un nastro bianco e rosso intorno alla struttura benché non fosse stata posta sotto sequestro, e ho messo anche dei cartelli, perché non si poteva entrare. L’ho fatto per mettere il posto un minimo in sicurezza: si vede tutt’ora questo scheletro all’inizio del paese e all’epoca passando si vedevano rovi altissimi e nient’altro. Il fatto è che noi non abbiamo avuto mai ricevuto una segnalazione ufficiale di gente che ci dicesse di andare a fare un sopralluogo”.
Il comandante Giuseppe Pittaluga aveva segnalato la problematica al comune. Alla sua audizione, le parti hanno deciso di rinunciare ma il Pubblico Ministero Roberta Bianco non esclude di citarlo durante le prossime udienze.
“Quando siamo arrivati – è proseguito il racconto dell’appuntato – il corpo era coperto da un telo del 118. Abbiamo percorso un piccolo campo e siamo entrati in un piccolo accesso dove ci sono due muri ed un varco, a terra bottiglie rotte, mattoni. Io sono salito agevolmente per la scala, ma non voglio pensare un bambino… L’area è molto grande, ricordo molta umidità, il muschio che si era formato sul pavimento della struttura in cemento armato, e assolutamente nessuna protezione perimetrale così come la tromba dell’ascensore era senza protezione. Il giorno seguente, quando sono andato sul posto, ricordandomi il segno che Giovannini aveva in fronte, ho dedotto che non fosse altro che il marchio del mattone tagliato dove aveva battuto la testa cadendo al fondo del cavo dell’ascensore, era pieno di frammenti di questo genere”.
L’informativa era stata consegnata anche al tribunale dei minori, tasto su cui ha cercato di puntare la difesa, affidata all’avvocato Ezio Audisio del foro di Torino. “Quell’informativa – ha rimarcato infatti il legale – non aveva come oggetto non la morte ma le dichiarazioni contraddittorie dei ragazzini che il tribunale avrebbe dovuto valutare”.
Il comune si era attivato, dal canto suo, chiedendo un preventivo per la demolizione. “Io e il geometra siamo andati a vedere, abbiamo preso i rilievi. Mi hanno chiesto un preventivo ma poi non sono mai più stato contattato” ha riferito Sergio Marchini, direttore tecnico di un’azienda specializzata.
Il processo riprenderà il 7 novembre per sentire Ispettore Romano e, forse, il consulente Bergantin di parte civile a cui gli avvocati di parte civile, Mario Benni ed Enrico Scolari, sarebbero eventualmente disponibili a rinunciare